Frequenza delle patologie preesistenti al ricovero nei pazienti italiani deceduti con positività al SARS-CoV 2

06/12/2020

COVID-19 e complicanze cardiovascolari

(Ultimo aggiornamento: 10/04/2024)

1          Introduzione

La COVID-19 è essenzialmente una polmonite causata dal SARS-CoV 2 (severe acute respiratory syndrome coronavirus 2, dapprima denominato 2019-nCoV), un  nuovo coronavirus che fin da subito dopo la sua scoperta ha dimostrato di avere un tasso di contagiosità e di letalità superiori a quelli di ogni altro virus influenzale [1]. Nei casi più gravi di COVID-19, tuttavia, sono frequenti sintomi e segni di interessamento di organi e tessuti diversi dal polmone, soprattutto cuore e reni, particolarmente nei pazienti con preesistenti comorbilità.

2      Prevalenza delle malattie cardiovascolari i pazienti con COVID-19

La prevalenza delle complicanze cardiovascolari nei pazienti con COVID-19 è soggetta a notevole variabilità per numerosi motivi, primi fra tutti  la mancanza di programmi nazionali di identificazione e sorveglianza dei positivi, l’assenza di un sistema qualificato di monitoraggio nel tempo degli asintomatici e dei soggetti guariti dall’infezione e/o alla malattia clinicamente conclamata. A tali fattori si aggiungono l’errore di selezione dei pazienti più gravi ricoverati in ospedale,  che hanno una prevalenza maggiore di comorbilità rispetto ai pazienti seguiti in ambulatorio, e  la notevole variabilità delle manifestazioni cliniche dell’infezione da SARS-CoV 2 [2].

Gli studi clinici finora effettuati in pazienti con COVID-19 hanno riportato percentuali di cardiopatie in circa un terzo dei casi [3-6], confermandosi dati ottenuti durante le precedenti epidemie da coronavirus. Le malattie cardiovascolari erano infatti  fra le comorbilità più frequenti nei pazienti con SARS o MERS, con una prevalenza variabile dal 10% al 30% [3-6] [7, 8]. In molti dei primi studi effettuati in Cina all’inizio della pandemia di COVID-19, che al momento in cui scriviamo ha provocato oltre un milione e mezzo di morti in tutto il mondo,  le malattie cardiovascolari, e i rispettivi fattori di rischio, per esempio diabete mellito, obesità  e ipertensione arteriosa, erano preesistenti nella maggioranza dei pazienti arruolati negli studi; tuttavia, la definizione di malattia cardiovascolare in ognuna di queste pubblicazioni  era non univoca e spesso non ben definita [3, 9-13]. Per esempio, in 41 pazienti ricoverati per COVID-19 la prevalenza di tutte le comorbilità era del 32%, la più frequente essendo il diabete (20%), seguito da ipertensione arteriosa e altre cardiovasculopatie [9].  L’elevata prevalenza di queste comorbilità è stata confermata da numerosi autori in varie parti del mondo [10, 11, 13-17]. In linea generale la prevalenza delle patologie preesistenti  era maggiore nei pazienti in condizioni critiche, soprattutto in quelli ricoverati nelle unità di terapia intensiva (UTI), e nei pazienti deceduti. In uno studio monocentrico cinese [10], su 138 pazienti ricoverati, il 46% aveva almeno una comorbilità (72% nei ricoverati in UTI), il 31% aveva ipertensione arteriosa (58% nei ricoverati in UTI), 15% aveva altre cardiovasculopatie (25% se ricoverati in UTI) mentre il diabete era stato diagnosticato in precedenza nel 10% (22% dei casi ricoverati in UTI). In 191 pazienti cinesi, il 48% aveva almeno una comorbilità (68% nei pazienti deceduti); il 30% aveva ipertensione (48% nei deceduti); 19% era affetto da diabete (21% nei deceduti) e 8% dei pazienti aveva una coronaropatia (24% nei deceduti )[15] .

In uno studio multicentrico su 1099 pazienti cinesi con COVID-19 [14], il 24% dei pazienti aveva almeno una comorbilità (39% dei pazienti critici); 15% aveva ipertensione arteriosa (24% dei pazienti critici) il 7% dei pazienti era diabetico (16% nei pazienti critici) il 3% aveva una coronaropatia (6% dei pazienti critici . Nel febbraio 2020, in  Cina il tasso di letalità nella COVID-19 era del 2,3% (1023 decessi su 44.672 casi) [11, 13]. Analizzando la letalità per singola comorbilità, i ricercatori osservarono che la letalità per malattie cardiovascolari era del 10,5%, la più elevata di qualsiasi altra comorbilità: pneumopatie croniche (6,3%), tumori (5,6%) diabete (7,3%) ipertensione arteriosa (6,0%) [11]. È probabile, tuttavia, che questi tassi di letalità siano approssimati e sovrastimati poiché i ricercatori non hanno tenuto conto del gran numero di persone infettate da virus ma non sottoposti a test diagnostici [18].

In Italia, dei 1591 pazienti ricoverati in UTI, il 49% era iperteso, il 21% aveva una cardiovasculopatia e il 17% era diabetico [17]. Negli USA il 54% dei pazienti che necessitavano di ventilazione era iperteso vs il 50% dei non ventilati [16]. Nei ventilati rispetto ai non ventilati la prevalenza era maggiore anche per il diabete (28% vs 25%), coronaropatie (19% vs 14%) e obesità (43% vs 36% ) [16].

3      Complicanze cardiache nei pazienti con  COVID-19

 Le complicanze cardiovascolari descritte nei pazienti con COVID-19 comprendono miocardiopatia/miocardite, aritmie, sindromi coronariche acute (SCA), scompenso cardiaco, tromboembolismo venoso e arterioso [2, 18]. Le manifestazioni cliniche compaiono a volte in pazienti senza sintomi e segni a carico dell’apparato respiratorio [19, 20]. Le complicanze cardiovascolari sono  associate con un aumento della mortalità nei pazienti COVID-19 [21] Nei bambini è stata ipotizzata una correlazione fra infezione da SARS-CoV 2  e una condizione molto simile alla malattia di Kawasaki [22]. (Vedere "COVID-19 e danno miocardico o miocardite ")

4      Patogenesi delle complicanze cardiovascolari nella COVID -19

L’infezione da  SARS-CoV 2 può influenzare direttamente le malattie cardiovascolari le quali, a loro volta, potrebbero predisporre alle infezioni virali. I pazienti cardiopatici infettati da   SARS-CoV 2 hanno una prognosi peggiore, e l’infezione stessa è di per sé associata con complicanze cardiovascolari [10, 15, 23]. L’infezione da  SARS-CoV 2 ha effetti indiretti di notevole importanza per la salute cardiovascolare. Per esempio, durante la pandemia ancora in corso, un aumento spropositato del  numero di soggetti contagiati che accedono alle strutture sanitarie può causare una riduzione delle cure e dell’assistenza ai pazienti non COVID-19 con sindromi acute. In questi frangenti, i medici e altri operatori sanitari sono a rischio di contagio e possono  sviluppare una malattia in forma clinica più o meno grave, nonché di diventare fonte di contagio secondario loro stessi [2]. È noto che medici, infermieri e altri operatori sanitari erano fra le categorie più frequentemente identificate come super diffusori del contagio nel corso di precedenti epidemie/pandemie da coronavirus. Super diffusori sono i soggetti che contagiano più di 10 persone con le quali sono venuti a contatto diretto.

4.1     Fattori potenziali di aumento del rischio

I fattori di rischio per le complicanze cardiovascolari (e di quelle a carico di altri organi) si sovrappongono con la risposta immunitaria. Per esempio, l’età è considerata uno dei fattori di rischio più importanti per le malattie cardiovascolari. La senescenza correla però  anche con il declino della risposta immunitaria,  che è sicuramente un fattore altrettanto importante nel determinare la predisposizione alla COVID-19 e la sua gravità. E' noto, per esempio, che circa il 50% soggetti con più di 65 anni ha un basso titolo anticorpale protettivo dopo vaccinazione contro l’influenza [24, 25]. Altri fattori di rischio tradizionali per le malattie cardiovascolari, come il  diabete e la dislipidemia,  riducono la risposta immunitaria, la quale, a sua volta, se ridotta o anomala,  aumenta il rischio cardiovascolare [26-29]. Quindi, l’aumentata prevalenza di malattie cardiovascolari in pazienti con COVID -19 può essere l’effetto di un’aumentata senescenza della risposta immunitaria e avere una correlazione solo  indiretta con la prognosi. È probabile, quindi, che, al pari di altre infezioni virali, come l’influenza, le correlazioni fra COVID -19 ed eventi cardiovascolari avversi, siano complesse, multifattoriali e bidirezionali [30, 31]. Il  SARS-CoV 2, tuttavia, potrebbe innescare meccanismi del tutto peculiari in grado di  contribuire alla comparsa delle complicanze cardiovascolari, per esempio attraverso il legame con i recettori per ACE 2 [4]. È noto che nei pazienti ipertesi e con patologie cardiovascolari queste recettori sono espressi a livelli più elevati del normale,  potendo aumentare la capacità di legame e di penetrazione del SARS-CoV 2 all’interno delle cellule endoteliali. Il significato di queste potenziali interazioni non è stato completamente chiarito, essendo i risultati a nostra disposizione non concordanti. (Vedere " Coronavirus - Classificazione, struttura, epidemiologia, vie di trasmissione, manifestazioni cliniche- Una panoramica d'insieme").

Un eccesso di complicanze cardiovascolari e a carico di altri organi è stato descritto anche in soggetti vaccinati con vaccini a mRNA anti SARS-COv 2. (vedere anche VACCINI mRNA antiCOVID-19 e RISCHIO CANCEROGENO: UN INQUIETANTE SOSPETTO)

4.2     Meccanismi patogenetici delle complicanze cardiovascolari nei pazienti con COVID-19

I più frequenti meccanismi implicati nella patogenesi delle complicanze cardiovascolari nei pazienti con COVID -19 sono i seguenti [23, 32]:

  • Danno miocardico diretto - Il  SARS-CoV 2 si lega tramite la sua proteina Spike al recettore per ACE 2, diffusamente espresso nei polmoni e nel cuore. ACE 2 svolge un ruolo importante nella regolazione neuro umorale del sistema cardiovascolare sia in condizioni fisiologiche che in diverse condizioni patologiche. Il legame fra coronavirus e il recettore di ACE 2 causa anomalie delle vie di segnalazione in grado di provocare danno miocardico e polmonare (3,4).
  • Infiammazione sistemica - Le forme più gravi di COVID -19 sono caratterizzate da una risposta infiammatoria acuta sistemica e dalla cosiddetta tempesta citochinica, che possono causare danni e insufficienza in molti organi e tessuti. I livelli circolanti di diverse citochine e chemochine pro infiammatorie correlano con la prognosi nei pazienti critici [9, 15].
  • Riduzione del rifornimento di ossigeno al miocardio - L’ipossia secondaria all’insufficienza respiratoria acuta e l’aumentata richiesta di ossigeno associata con infezione sistemica riducono il rifornimento di ossigeno al miocardio contribuendo così all’instaurarsi di un danno miocardico acuto,
  • Rottura della placca e trombosi coronarica - L’infiammazione sistemica e l’aumentata turbolenza del circolo sanguigno associata all’aumento del flusso ematico nelle coronarie possono causare una rottura di placca e infarto acuto del miocardio. Una trombosi diffusa del microcircolo è anche presente all’esame autoptico di molti dei casi più gravi di COVID-19. (Vedere "COVID-19 e ipercoagulabilità : la triade di Virchow è sempre attuale ")
  • Disordini elettrolitici - Le anomalie degli elettroliti e dell’equilibrio acido -base che si osservano in tutte le gravi malattie acute possono scatenare aritmie, soprattutto in soggetti con precedente cardiopatia. La COVID -19 non sfugge a questa regola. L’ipopotassiemia aumenta il rischio di diverse tachiaritmie e deve essere guardata con attenzione, a causa delle interazioni fra SARS-CoV 2 e sistema renina-angiotensina-aldosterone mediate dall’ACE 2.(Vedere "Disturbi dell’equilibrio acido base - Introduzione ")
  • Effetti indesiderati di varie terapie - Diversi farmaci antivirali, nonché alcuni antibiotici e corticosteroidi utilizzati (spesso a sproposito e al difuori di indicazioni certe) nel trattamento delle forme gravi di COVID -19 possono avere effetti deleteri sul sistema cardiovascolare, anche attraverso le interazioni con altri farmaci assunti da questi pazienti, per esempio gli anticoagulanti orali di vecchia e nuova generazione.
  • Ansia e stress che, aumentando la liberazione di catecolamine, inducono vasocostrizione e ulteriore riduzione del rifornimento di ossigeno, già compromesso dall’ipossia associata all’insufficienza respiratoria, e aumentano l’instabilità elettrica [33].

5      Diagnosi delle complicanze cardiovascolari nei pazienti COVID-19

Nei pazienti con C0VID-19 ricoverati alcune delle indagini diagnostiche invasive necessarie per la definizione diagnostiche delle complicanze cardiovascolari, per esempio la biopsia endomiocardica o le angiografie,  non sempre sono disponibili o, qualora lo siano, non possono essere utilizzate  a causa dell’instabilità del paziente, dei rischi connessi alle procedure, del rischio di esposizione del personale sanitario, dello scarso impatto di una diagnosi precisa sull’approccio terapeutico o sulla prognosi [4, 34]. Anche le tecniche di imaging non invasive più moderne, per esempio la TAC multidetettore o la RMN cardiaca  non sempre sono disponibili negli ospedali COVID.  La diagnosi delle complicanze cardiovascolari in questi pazienti rimane quindi spesso vaga, anche per evitare di dover sanificare i locali utilizzati anche per i pazienti non COVID dopo il passaggio di un paziente infetto, data l’estrema contagiosità del SARS-CoV 2 [34]. Le linee guida consigliano di rinviare gli accertamenti radiologici e strumentali non strettamente necessari fino al termine del periodo di contagiosità.

6      Terapia delle complicanze cardiovascolari nei pazienti Covid-19

Nella maggioranza dei casi i pazienti COVID-19 richiedono solo un trattamento di supporto [34]. Nonostante la miriade di studi e le ricerche, finora non esiste una terapia antivirale specifica in grado di inibire la replicazione del SARS-CoV 2 all’interno delle cellule né di impedirne l’ingresso [35]. L’efficacia degli antivirali (lopinavir/ritonavir,remdesivir), degli antimalarici (idrossoclorochina), degli antibiotici (azitromicina, claritromicina), dei cortisonici, dei farmaci anti-citochine ecc., è dubbia, nonostante il trattamento di migliaia di pazienti,  in maggioranza al difuori di studi controllati [2, 4]. Molti di questi farmaci sono inoltre sospettati di provocare effetti avversi cardiovascolari gravi, per cui è necessaria la massima cautela prima di un loro utilizzo in pazienti cardiopatici. In vitro alcune di queste molecole hanno dimostrato di inibire la replicazione virale, ma è dubbio che questo avvenga anche in vivo. Sebbene siano sicuri, il plasma convalescente  o le immunoglobuline iperimmuni non hanno dimostrato di essere efficaci in studi randomizzati e controllati, mentre una certa efficacia è stata descritta in singoli case reports o casistiche con pochi pazienti. ("COVID-19 e plasma convalescente (iperimmune) ")

Nei pazienti emodinamicamente instabili o con tachiaritmie ventricolari potranno essere presi in considerazione approcci terapeutici per la complicanza cardiovascolare specifica  da concordare con i cardiologi. In attesa del vaccino ( o dei vaccini)  anti-SARS Cov 2, utili strumenti di protezione efficaci sono la vaccinazione anti-influenzale dei pazienti, che hanno efficacia anche nella riduzione della mortalità cardiovascolare rispetto ai non vaccinati e l’adozione continua di adeguate misure di igiene, a partire dal frequente lavaggio delle mani, e degli strumenti di protezione personale da parte degli operatori sanitari [36].

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