27/05/2020

Un ruolo per la talidomide nella terapia della COVID-19?

(Ultimo aggiornamento: 30/06/2020)

La mia proposta è di utilizzare base dosi di talidomide (50-100 mg/die) associata  basse dosi di cortisonici in pazienti già trattati e che dimostrano resistenza e/o progressione della malattia nonostante il trattamento. La terapia dovrebbe durare 2-3 settimane.

 Background

La talidomide è una molecola derivata dall'acido glutammico dotata di proprietà immunomodulanti e antinfiammatorie [1]. Assieme ad alcuni  suoi derivati, anch’essi somministrabili per via orale, sviluppati per ridurne la tossicità, è usata da anni in clinica per la terapia di neoplasie ematologiche, fra le quali mieloma multiplo, mielodisplasie e linfomi [2]. Ha un costo relativamente basso, sicuramente inferiore ad altri inibitori delle citochine usati nei pazienti COVID-19,e può essere tranquillamente assunta a domicilio, come ci hanno insegnato anni di utilizzo nelle neoplasie ematologiche.  È anche utilizzata, in genere come farmaco di seconda-terza o successiva linea in malattie autoimmuni fra le quali LES, artrite reumatoide, sindrome di Behcet, malattie infiammatorie intestinali, malattia granulomatosa cronica, nella lebbra e nella GVHD [3–9]. In casi rari la talidomide è stata somministrata anche in età pediatrica [10].

È stata usata per il trattamento della “wasting syndrome” associata all’infezione da HIV-1 e/o tubercolosi [11–13] e nella cachessia neoplastica [14]. L’efficacia della talidomide sembra essere maggiore  nei casi in cui vi sia un eccesso di citochine, la cosiddetta tempesta citochinica, che amplifica oltremodo la risposta immune (autoimmune?) e infiammatoria dell’organismo [13]. La tempesta citochinica (cytokines storm o cytokines surge), nella COVID-19, è il risultato della risposta delle cellule epiteliali polmonari infettate, dell’attivazione dei macrofagi alveolari e, successivamente, dell’attivazione dei linfociti T. In vitro o in modelli animali la talidomide e suoi analoghi hanno dimostrato attività nei confronti del virus dell’influenza A H1N1 [15,16]  e di numerosi altri virus, per esempio dell’adenovirus dell’enterite emorragica dei tacchini [17].

Alla  talidomide sono attribuite le ben note attività immunomodulanti e antiinfiammatorie che si esplicano principalmente attraverso l’inibizione della sintesi e/o rilascio di numerose citochine e chemochine, in primis interleuchina-6 e TNF [1,18–21]. Più recentemente sono state dimostrate altre attività della molecola che potrebbero essere utilizzate nella terapia della COVID-19: inibizione della COX-2, un enzima proinfiammatorio che nei polmoni viene attivato da diverse proteine dei coronavirus [22,23]; interferenza con alcuni meccanismi molecolari essenziali per il corretto assemblaggio dei virioni nella cellula ospite; aumento della sintesi dell’IFN da parte dei linfociti T [24]. Alla talidomide potrebbero essere associati anche altri farmaci (cortisonici, ciclofosfamide, claritromicina) che nelle malattie autoimmuni e nelle neoplasie ematologiche hanno dimostrato sinergia d’azione con la talidomide stessa. Claritromicina e cortisonici a vario titolo sono anche usati nei pazienti con COVID-19.

Immunopatogenesi della COVID-19

I coronavirus, come tutti gli altri virus maggiormente diffusi, hanno sviluppato strategie per contrastare la risposta immunitaria innata. L'espressione dell'interferone (IFN) è una componente fondamentale di questa risposta iniziale da parte dell’organismo ospite e i coronavirus hanno sviluppato strumenti "passivi" e "attivi" per prevenire la sintesi dell’interferone e la trasmissione del segnale lungo la via dell’IFN stesso. La sintesi dell’IFN  è inibita nei fibroblasti infettati da SARS-CoV o MHV (Versteeg et al. 2007; H. Zhou e Perlman 2007; Spiegel et al. 2005). Al contrario, con  entrambi i virus, il trattamento delle cellule infettate con molecole che inducono la sintesi dell’ interferone, provoca l'attivazione di IRF-3 (Interferon Regulating Factor) e il ripristino della produzione di IFN (H. Zhou e Perlman 2007; Spiegel et al. 2005). In altre parole, nelle cellule infettate, i virus sembrano essere invisibili ai sensori virali intracellulari (RIG-I, MDA-5 e TLR3), forse perché la doppia elica dell’RNA virale, che normalmente è un potente stimolatore del sistema immunitario innato, è come sepolta nelle vescicole virali a doppia membrana. Inoltre, le proteine virali, in particolare nsp1, nsp3, e le proteine accessorie SARS-CoV ORF6 e ORF3b, inibiscono anch’esse l'induzione della sintesi di IFN (R. He et al. 2003; Ye et al. 2007; Narayanan et al. 2008a; Züst et al. 2007a). Le proteine nsp1 di SARS-CoV e MHV, degradano, almeno in parte, l'mRNA delle cellule ospiti inibendone  la traduzione (Kamitani et al. 2006; Narayanan et al. 2008a). Nsp1 inibisce anche la segnalazione IFN nelle cellule infettate da SARS-CoV e MHV, in parte inibendo la fosforilazione di STAT1 (Wathelet et al. 2007; Züst et al. 2007b). Alcune mutazioni di nsp1 riducono  la velocità di crescita di SARS-CoV e MHV nei topi e nelle cellule di coltura dei tessuti ma soltanto in presenza di un sistema IFN integro, e non in caso di una sua compromissione  (Narayanan et al. 2008b; Züst et al. 2007b; Wathelet et al. 2007).

Oltre alla riduzione della sintesi di  IFN, la sintesi di numerose altre chemochine e citochine è aumentata   nel corso della risposta dell'ospite ai coronavirus. Citochine come IL-1, IL-6 e IL-12 e chemochine come IL-8, CCL2 e CXCL10 sono aumentate nei pazienti con SARS. Le cellule epiteliali polmonari infettate da SARS-CoV sono la fonte di produzione di alcune delle citochine/chemochine i cui livelli aumentano  nei pazienti infetti, soprattutto CCL2, IL-6, IL-1β  e TNF (L. He et al. 2006). Tuttavia, utilizzando la genomica e la proteomica, Cameron et al (Cameron et al. 2007 )hanno osservato  che i livelli  di IFN β/γ, di CXCL10, CCL2 e altri mediatori dell’infiammazione rimanevano elevati e i titoli anticorpali anti-SARS-CoV restavano bassi in quei pazienti che sviluppavano malattie gravi. Altri ricercatori hanno riscontrato che una forte risposta Th2 (IL4, IL-5 e IL-10) correlava con una prognosi sfavorevole (C. K. Li et al. 2008). È stato ipotizzato che una risposta citochinica eccessivamente esuberante possa aver  contribuito al decorso sfavorevole nei pazienti con SARS nel 2002-2003 (Perlman e Dandekar 2005b; Chen e Subbarao 2007; Gu e Korteweg 2007). In conclusione, i risultati dei molti studi finora compiuti non permettono di provare né di confutare definitivamente il ruolo di un’esuberante  risposta immunitaria/infiammatoria e della tempesta  citochinica/chemochinica nei casi più  gravi di  SARS, in quanto la carica virale e i livelli delle citochine/chemochine nei polmoni non furono sempre misurati in contemporanea ai livelli sierici (Perlman e Netland 2009; Perlman e Dandekar 2005a)

Meccanismo d’azione della talidomide

Gli effetti farmacologici e quelli tossici della talidomide sono mediati a livello intracellulari dal suo legame con la cereblon, una proteina che forma complessi con le proteine del sistema ubiquitine-ligasi [25]. È probabile che i meccanismi d’azione siano numerosi, altrimenti gli effetti “pleiotropici” della talidomide sarebbero difficilmente spiegabili, e tali meccanismi costituiscono la base dello sviluppo di suoi derivati più selettivi e dotati di  peculiari attività farmacologiche, diverse dal farmaco originario[26].

I linfociti Treg

I linfociti T regolatori (Treg) CD4+FoxP3+ sono indispensabili per mantenere l'equilibrio fisiologico della risposta immunitaria e per inibire le risposte autoimmuni; costituiscono anche uno dei principali meccanismi cellulari che i tumori utilizzano per sfuggire al controllo del sistema immunitario attenuandone la risposta anti-tumorale [27,28]. Non sorprende, quindi, che i T-reg siano diventati uno dei principali bersagli terapeutici per il trattamento, fra l’altro,  delle malattie autoimmuni, della graft-versus host disease (GVHD), del rigetto dei trapianti e di alcune neoplasie maligne.

Il TNF stimola l'attivazione dei Treg, un effetto mediato principalmente dalla recettore di tipo 2 del TNF (TNFR-2) [29]. Inoltre, è stato dimostrato che l'espressione del TNFR-2 correla con la stabilità dei T-reg e la loro funzione inibitoria [30–33].

Numerosi studi indipendenti hanno dimostrato che le interazioni TNF-TNFR2 sono la base biologica della stimolazione dei Treg e che queste interazioni possono essere ostacolate farmacologicamente per il trattamento di numerose e importanti malattie umane comprese neoplasie e malattia autoimmuni[34–40]

Linfociti Treg e talidomide

La talidomide e i suoi analoghi (lenalidomide, pomalidomide eccetera) inibiscono l'espressione di superficie del TNFR2 su linfociti senza ridurne l'espressione totale [41], inibizione associata con la riduzione del trasporto del TNFR-2 intracellulare sulla superficie di membrana [35]. Un aumento dei Treg correla con la prognosi nel mieloma multiplo e con la risposta alla terapia, essendo stato osservato un aumento dei Treg in coloro che non rispondono [42].La riduzione del numero  e l’inibizione della funzione dei linfociti Treg da parte della talidomide e dei suoi analoghi è stata dimostrata in numerose neoplasie ematologiche, nelle quali la risposta alla talidomide potrebbe dipendere dalla specifica malattia e condizione [36].

Altre piccole molecole somministrabili per via orale che inibiscono i Treg sono la ciclofosfamide e il pabinostat [36], farmaci utilizzati, spesso in associazione con gli analoghi della talidomide per la terapia del mieloma multiplo ed altre neoplasie ematologiche.

Putative basi dell’azione anti-coronavirus

La talidomide, oltre ad inibire la sintesi di numerose citochine, inibisce anche l’aminopeptidasi (ANP) cellulare e la cicloossigenasi [26]. ANP (CD13) è uno dei recettori usati  da alcuni coronavirus per  la penetrazione intracellulare [43]; CD13  esiste anche in forma solubile nel siero [44].Finora non è stato dimostrato che ANP serva da recettore per il SARS-CoV2 [45]. La cicloossigenasi-2 è un’enzima proinfiammatorio attivato dalle proteine S e N dei coronavirus e contribuisce con ogni probabilità allo stato infiammatorio polmonare tipico dell’infezione di questi virus [22,23]

Talidomide inibisce anche l’alfa-glucosidasi, un enzima che nel reticolo endoplasmatico svolge una funzione importante per la riproduzione dei coronavirus attraverso la glicosilazione delle sue proteine; l’inibizione dell’enzima altera l’assemblaggio dei virioni di alcuni coronavirus e la loro capacità di adesione al recettore ACE-2 [46]. Sono note diverse piccole molecole (iminozuccheri) inibitrici delle glicosidasi dotate di attività antivirale [47].

A livello del reticolo endoplasmatico rugoso e nell’apparato di Golgi, l’assemblaggio di virioni maturi e infettivi richiede la cooperazione delle glucosidasi e della calnexina [48]. La calnexina è uno chaperone molecolare che  controlla la qualità della  glicosilazione  delle proteine nascenti e la loro corretta conformazione strutturale, avviando alla distruzione le proteine difettose e fornendo il lasciapassare alle proteine normoconformate [49].

La lenalidomide, un derivato della talidomide,  inibisce la calnexina in pazienti con la sindrome da 5q-, una mielodisplasia [50].

Talidomide e malattie virali

La talidomide in topi BALB/c infettati per via intra nasale con il virus dell'influenza A H1N1 e poi trattati con dosi di 100-200 mg/kg al giorno per sette giorni, produsse un significativo miglioramento del tasso di sopravvivenza dopo 14 giorni, con significativa riduzione dell'infiltrato polmonare di cellule infiammatorie e dei livelli di citochine nel sangue, soprattutto interleuchina-6, TNF e di alcuni chemochine (RANTES, IP-10),con associata  inibizione dell'attivazione della P65 NFkB [16]. Secondo gli autori la talidomide riduce il danno polmonare indotto da virus influenzale e potrebbe aver un ruolo nella terapia di alcune malattie virali[16].

Anche derivati della talidomide hanno attività in vitro anti-virus influenzale [15].

Su un blog si afferma che la talidomide fu usata nel 2009 per trattare l’influenza A da H1N1 [51], ma non sono riuscito a trovare alcuno studio in merito. Su altri siti si afferma che la talidomide fu usata nella SARS, nella MERS e contro l’Ebola ma non ho trovato nulla di serio.

Talidomide e protezione dal danno polmonare indotto da tossine di varia natura

Paraquat

Ratti  SPF Wistar esposti  a paraquat per via intraperitoneale, ricevettero 30' dopo talidomide  alla dose di 50,100 o 200 mg per 3 giorni. Dopo esser stati sacrificati, il loro tessuto polmonare fu esaminato al microscopio, mentre nel siero e/o sui tessuti  furono  dosati TNF, IL-6, il livello di fosforilazione p65 e  di inhibitor-α of nuclear factor-κB (NF-κB) (IκB-α). Anche a superossido dismutasi (SDO) e la malondialdeide (MDA) furono dosati a livello dell'aorta addominale. All'esame istologico i polmoni evidenziavano congestione dei setti alveolari e dell'interstizio polmonare, un gran numero di cellule infiammatorie infiltranti e edema che erano ridotti in modo significativo dopo esposizione a 50, 100 e 200 mg di talidomide rispetto ai controlli. Gli effetti erano dose dipendenti e fra i più importanti vanno segnalati  la riduzione significativa  dei livelli sierici di MDA, TNF e IL-6, mentre nei polmoni erano aumentati la fosforilazione di p65 e di IκB-α. con aumento dell'attività di SOD.  Secondo gli autori talidomide ha effetto protettivo dose-dipendente  sull'Acute Lung Injury indotta dall'avvelenamento da paraquat nei ratti, probabilmente attraverso la riduzione dei radicali liberi di ossigeno, la riduzione dei fattori di flogosi e l’inibizione della via  di segnalazione intracellulare di NF-κB.

Lipopolisaccaride (LPS)

Ratti Wistar albini furo esposti a LPS per valutare l'effetto protettivo di talidomide e/o etanercept in questo modello di sepsi [52,53]. Entrambi i farmaci, sia in mononosomministrazione che in associazione, ridussero in modo significativo i livelli di interleuchina 1-b e di  Il-6 rispetto ai ratti trattati con sola LPS[52].Anche su cellule in vitro la talidomide inibisce il rilascio di citochine da parte di neutrofili stimolati con LPS [54].

Fibrosi polmonare da bleomicina

La talidomide protegge dalla fibrosi polmonare, un noto effetto collaterale della bleomicina, ratti esposti al farmaco [18,55,56], un antineoplastico utilizzato nella terapia del linfoma di Hodgkin e di alcuni tumori solidi.

Casi aneddotici di risposta alla talidomide in patologie caratterizzate da  ipercitochinemia

Risposta clinica è stata riportata in un paziente con la sindrome TAFRO resistente al tocilizumab [57]. La sindrome TAFRO è una variante della malattia di Castleman, una malattia rara nella quale la talidomide ha dimostrato efficacia in casi sporadici [58]. Recentemente sono stati pubblicati i risultati di uno studio di fase 2 in pazienti con malattia di Castleman trattati con l’associazione talidomide-ciclofosfamide-prednisone.

Caso di una donna cinese con COVID-19 guarita dalla talidomide

Recentemente è stato riportato un caso di una donna cinese con polmonite interstiziale da SARS-COV 2, resistente a lopinavir/ritonavir, nella quale  il quadro clinico si risolse rapidamente dopo somministrazione di talidomide alla dose di 100 mg/die associata a 80 mg/die di metilprednisone per 3 giorni e poi 40 mg/die per 5 giorni [59]. Il report del caso è allegato alla presente.

Trials registrati della talidomide nella COVID-19

Ad oggi risultano registrati due trials entrambi cinesi su clinicalstrials.gov [60], nessuno dei quali sembra stia reclutando pazienti.

 

Associazione con altri farmaci di uso corrente nella pratica clinica

Claritromicina

Claritromicina   e talidomide agiscono sinergicamente nel ridurre la secrezione di TNF e di IL-6 in cellule di mieloma. L'effetto inibitorio si esplicherebbe  attraverso l'inbizione dell'attivazione di ERK1/2 e AKT [61]. 

Idrossiclorochina

Basse dosi di tal (50 mg/die) sono state proposte in associazione con idrossiclorochina in pazienti con LES cutaneo refrattario agli antimalarici [62].

Tossicità della talidomide

Il farmaco è embriotossico e teratogeno e pertanto non va usato, o usato solo se strettamente necessario in soggetti in età fertile, e  con tutte le precauzioni del caso. Un’altra tossicità frequente è la polineuropatia che però compare quasi sempre in caso di trattamento superiore 8-12 mesi e a dosi cumulative elevate. In questi pazienti il trattamento sarebbe limitato a 2-3 settimane e le dosi previste sono basse, 100 mg/die. Altre tossicità frequenti sono eritrodermia, stipsi, sonnolenza, distiroidismi, aritmie cardiache, la cui incidenza e/o  gravità potrebbe essere ridotta dalla breve durata del trattamento.

Putative basi dell’azione anti-coronavirus

In base a quanto brevemente esposto sul meccanismo d’azione, ritengo che si possa ipotizzare un utilizzo in pazienti selezionati affetti da COVID-19 sulla base delle dimostrate proprietà immunomodulanti, antiinfiammatorie, antistress ossidativo, inibitorie della fibrosi polmonare sperimentale nei ratti e, infine, della probabile inibizione della replicazione del virus nella cellula ospite e/o della sua adesione alla membrana cellulare.

Ritengo che la talidomide possa essere pertanto utilizzato, alla stessa stregua degli altri farmaci off-label che stiamo utilizzando, in pazienti selezionati, per esempio nei pazienti a rischio di ricovero in terapia intensiva. In caso di provata efficacia si potrebbe pensare anche ad un suo utilizzo sul territorio nei casi meno gravi. È chiaro che si tratta di una mia opinione personale non validata da dati scientifici, e che offro alla discussione all’interno dell’equipe medica.

Vincenzo Cordiano

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